Lorenzo il Magnifico - Opera Omnia >>  Ambra




 

il magnifico lorenzo de medici testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere letterarie e in versi, operaomnia #


1

    Fuggita è la stagion che avea conversi
e fiori in pomi, già maturi e còlti;
in ramo non può più foglia tenersi,
ma sparte per li boschi assai men folti
si fan sentir, se avvien che gli atraversi
el cacciatore, e i pochi paion molti;
la fera, se ben l'orme vaghe absconde,
non va secreta per le secche fronde.

2

    Tra li arbor' secchi stassi il lauro lieto,
e di Ciprigna l'odorato arbusto;
verdeggia nelle bianche alpe l'abeto,
e piega e rami già di neve onusto;
tiene el cipresso qualche uccel secreto,
e co' venti combatte il pin robusto;
l'umil ginepro con le acute foglie
la man non punge altrui, chi ben lo coglie;

3

    la uliva in qualche dolce piaggia aprica
secondo el vento pare or verde or bianca:
natura in questi tal' serba e nutrica
quel verde che nelle altre fronde manca.
Già e peregrini uccei con gran fatica
hanno condotto la famiglia stanca
di là dal mare, e pel cammin lor mostri
Nerëide, Tritoni et altri mostri.

4

    Ha combattuto dello imperio e vinto
la Notte, e prigion mena el breve giorno:
nel ciel seren d'eterne fiamme cinto
lieta il carro stellato mena intorno;
né prima surge, che in Occëan tinto
si vede l'altro aurato carro adorno;
Orïon freddo col coltel minaccia
Phebo, se mostra a noi la bella faccia.

5

    Seguon questo notturno carro ardente
Vigilie, Excubie e sollicite Cure,
el Sonno (e bench'e' sia molto potente,
queste importune il vincon spesso pure)
e' dolci Sogni, che ingannon la mente:
quando è opressa da fortune dure,
di sanità, d'assai tesor fa festa
alcun, che infermo e povero si desta.

6

    Oh miser quel che in notte così lunga
non dorme, e'l disïato giorno aspetta,
se advien che molto e dolce disio il punga,
quale il futuro giorno gli prometta!
E benché ambo le ciglia insieme agiunga
e' pensier tristi excluda e' dolci ametta,
dormendo desto, acciò che il tempo inganni,
gli par la notte un secol di cento anni.

7

    Oh miser chi tra·lle fonde truova fuora
sì lunga natte, assai lontan dal lito,
e 'l cammin rompe della cieca prora
el vento, e freme il mare un fer mugito!
Con molti preghi e voti l'Aürora
chiamata, sta col suo vecchio marito.
Numera tristo e disïoso guarda
e passi lenti della notte tarda.

8

    Quanto è diversa, anzi contraria, sorte
de' lieti amanti nella algente bruma,
a cui le notte sono e chiare e corte,
il giorno obscuro e tardo si consuma!
Nella stagion così gelida e forte,
già rivestiti di novella piuma,
hanno deposto gli uccelletti alquanto
non so s'io dica o' lieti versi o 'l pianto.

9

    Stridendo in cielo e gru veggonsi a lunge
l'äer stampar di varie e belle forme,
e l'ultima col collo steso agiunge
ove quella dinanzi ha le vane orme;
e poi che nelli aprichi lochi giunge,
vigile un guarda, e l'altra schiera dorme.
Cuopron e prati e van leggier' pe' laghi
mille spezie d'uccei dipinti e vaghi.

10

    L'aquila spesso col volato lento
minaccia tutti, e sopra il stagno vola:
levonsi insieme e caccionla col vento
delle penne stridente; e se pur sola
una fuor resta del pennuto armento,
l'uccel di Giove subito la invola:
resta ingannata, misera, se crede
andarne a Giove come Ganimede.

11

    Zephiro s'è fuggito in Cipri, e balla
con Flora ozioso per la erbetta lieta;
l'aria non più serena, bella e gialla
Borea et Aquilon rompe e inquïeta;
l'acqua corrente e querula incristalla
el ghiaccio, e stracca or si riposa queta:
preso el pesce nell'onda dura e chiara
resta, come in ambra äurea zanzara.

12

    Quel monte che s'oppone a Cauro fero,
che non molesti il gentil fior, cresciuto
nel suo grembo d'onor', ricchezze e impero,
cigne di nebbie il capo già canuto;
gli ùmer' candenti, giù dal capo altero,
cuoprono e bianchi crini, e 'l petto irsuto
la orribil barba, che è pel ghiaccio rigida;
fan gli occhi e 'l naso un fonte, e 'l gel lo infrigida.

13

    La nebulosa ghirlanda che cigne
l'alte tempie gli mette Noto in testa;
Borrea dall'alpe poi la caccia e spigne,
e nudo e bianco il vecchio capo resta;
Noto sopra l'ale umide e maligne
la nebbia porta, e par di nuovo il vesta:
così Morello irato, or carco or lieve,
minaccia al pian subietto or acqua or neve.

14

    Partesi de Ethïopia caldo e tinto
Aüstro, e sazia l'assetate spugne
nell'onde salse di Tirreno intinto;
apena a' destinati luoghi giugne,
gravido d'acqua e da' nugoli cinto
e stanco, stringe poi ambo le pugne:
e fiumi lieti contro all'acque amiche
escono allor delle caverne antiche.

15

    Rendon grazie ad Occëan padre, adorni
d'ulva e di fronde fluvïal' le tempie;
suonon per festa e rochi e torti corni;
tumido el ventre già, superbo s'empie;
lo sdegno, conceputo molti giorni,
contro alle ripe timide s'adempie:
spumoso ha rotto già lo inimico argine,
né serva il corso dello antico margine.

16

    Non per vie lunghe o per cammino oblico,
a guisa di serpenti, a gran volumi,
sollicitan la via al padre antico;
congiungon l'onde insieme e lontan' fiumi,
e dice l'uno all'altro, come amico,
nuove del suo päese e de' costumi:
così, parlando insieme in strana voce,
cercon, né truovon, la smarrita foce.

17

    Quando gonfiato e largo si ristrigne
tra gli alti monti d'una chiusa valle,
stridon frenate, turbide e maligne
l'onde, e miste con terra paion gialle;
e grave petre sopra petre pigne,
irato a' sassi dello angusto calle;
l'onde spumose gira, e orribil freme:
vede il pastor da alto e, secur, teme.

18

    Tal fremito piangendo rende, trista
la terra dentro al cavo ventre adusta:
caccia col fumo fuor fiamma ' acqua mista
gridando, ch'esce per la bocca angusta,
terribile alli orecchi et alla vista:
teme, vicina, il suon alta e robusta
Volterra, e' lagon' torbidi che spumano,
e piove aspetta se più alto fumano.

19

    Così, crucciato, il fer torrente frende
superbo, e le contrarie ripe rode;
ma poi che nel pian largo si distende,
quasi contento alora a pena s'ode:
incerto se in sù torna o se pur scende,
ha de' monti distanti fatto prode:
già vincitor el cheto lago incede,
di rami e tronchi pien, montane prede.

20

    A pena è suta a tempo la villana
pavida ' aprire alle bestie la stalla;
porta il figlio che piange nella zana;
segue la figlia grande, et ha la spalla
grave di panni vili, lino e lana;
va l'altra vecchia massarizia a galla;
nuoton e porci e, spaventati, e buoi,
le pecorelle, e non si toson poi.

21

    Alcun della famiglia s'è ridotto
in cima della casa, e sù dal tetto
la povera ricchezza vede ir sotto,
la fatica, la speme; e, pel sospetto
di sé stesso, non duolsi e non fa motto:
teme alla vita el cuor nel tristo petto,
né delle cose car' par conto faccia:
così la maggior cura ogn'altra caccia.

22

    La nota e verde ripa allor non frena
e pesci lieti, che han più ampli spazii;
l'antica e giusta voglia alquanto è piena
di veder nuovi liti, e, non ben sazii,
questo nuovo piacer vaghi gli mena
a veder le ruine e' grandi strazii
delli edifizii: e sotto l'acqua e muri
veggon lieti et ancor non ben sicuri.

23

    In guisa allor di piccola isoletta
Ombrone amante superbo Ambra cigne;
Ambra, non meno da Läur diletta,
geloso se il rival la tocca e strigne;
Ambra driàde, a Delia sua accetta
quanto alcuna che stral fuor d'arco pigne;
tanto bella e gentil, ch'alfin li nuoce,
leggier di piedi e più che altra veloce.

24

    Fu da' primi anni questa ninfa amata
dal suo Lauro gentil, pastore alpino,
d'un casto amor, né era penetrata
lasciva fiamma al petto peregrino.
Fuggendo el caldo un dì nuda era entrata
nell'onde fredde d'Ombron, d'Apennino
figlio, superbo in vista e ne' costumi
pel padre antico e' cento frati fiumi.

25

    Come le membra virginali entrorno
nell'acque brune e gelida sentìo,
e mosso dal leggiadro corpo adorno,
della spelunca uscì l'altero dio;
dalla sinistra prese il torto corno,
e nudo el resto, acceso di disio,
difende il capo inculto a' febei raggi
coronato d'abeti e montàn' faggi.

26

    E verso el loco ove la ninfa stassi
giva pian pian, coperto dalle fronde;
né era visto, né sentire e passi
lasciava il mormorio delle chiare onde.
Così vicin tanto alla ninfa fassi,
che giunger crede le sue trecce bionde,
e quella bella ninfa in braccio avere
e, nudo, el nudo e bel corpo tenere.

27

    Sì come pesce, allor che incauto cuopra
el pescator con rara e sottil maglia,
fugge la rete, qual sente di sopra,
lasciando, per fuggire, alcuna scaglia;
così la ninfa, quando par si scuopra,
fugge lo dio, che adosso se gli scaglia,
né fu sì presta, anzi fu sì presto elli,
che in man lasciolli alcun de' sua capelli.

28

    E saltando dell'onde, strigne el passo;
di timor piena fugge nuda e scalza:
lascia e panni, li stral', l'arco e 'l turcasso,
non cura o e pruni acuti o l'aspra balza;
resta lo dio dolente, afflitto e lasso;
pel dolor le man' strigne, al ciel gli occhi alza,
maledisce la man crudele e tarda,
quando e biondi capelli svèlti guarda.

29

    E seguendola allor diceva: - O mano,
a vellere e bei crin' presta e feroce,
ma a tener quel corpo più che umano
e farmi lieto, ohimè, poco veloce! -
Così piangendo el primo errore invano,
credendo almeno aggiugner con la voce
dove arrivar non puote el passo tardo,
gridava: - O ninfa, un fiume sono, et ardo!

30

    Tu m'accendesti in mezzo alle fredde acque
el petto d'uno ardente disir cieco:
perché, come nell'onde el corpo giacque,
non giace, ché staria meglio assai, meco?
Se l'ombra e l'acqua mia chiara ti piacque,
più bella ombra, più bella acqua ha il mio speco.
Piaccionti le mie cose, e non piaccio io:
e son pur di Apennin figliuolo, e dio! -

31

    La ninfa fugge, e sorda a' prieghi fassi:
a' bianchi piè aggiugne alie il timore.
Sollicita lo dio, correndo, e passi,
fatti al seguir veloci dallo amore;
vede da' pruni e da' taglienti sassi
e bianchi piè ferir con gran dolore;
cresce el disio, pel quale e ghiaccia e suda,
vedendola fuggir sì bella e nuda.

32

    Timida e vergognosa Ambra pur corre;
nel corso a' venti rapidi non cede;
le leggier' piante sulle spighe porre
potria, e sosterrieno il gentil piede;
vedesi Ombrone ognor più campo tòrre,
la ninfa ad ogni passo manco vede:
già nel pian largo tanto il corso avanza,
che di giugnerla perde ogni speranza.

33

    Già pria per li alti monti aspri e repenti
venìa tra ' sassi con rapido corso;
e passi a lei manco expediti e lenti
faceano a lui sperar qualche soccorso;
ma giunto, lasso!, giù ne' pian' patenti,
fu messo quasi al fiume stanco un morso:
poi che non può col piè, per la campagna
col disio e con gli occhi l'acompagna.

34

    Che debbe far lo innamorato dio,
poiché la bella ninfa più non giugne?
Quanto gli è più negata, più disio
lo innamorato core accende e pugne.
La ninfa era già presso ove Arno mio
riceve Ombrone e l'onde si congiugne:
Ombrone, Arno veggendo, si conforta,
e surge alquanto la speranza morta.

35

    Grida da lungi: - O Arno, a cui refugge
la maggior parte di noi fiumi toschi,
la bella ninfa, che come uccel fugge,
da me seguìta in tanti monti e boschi,
sanza alcuna piatate el cor mi strugge,
né par che amor el duro cor conoschi:
rendimi lei, e la speranza persa,
e il leggier corso suo rompi e 'ntraversa.

36

    Io sono Ombron, che le mia cerule onde
per te raccoglio: a te tutte le serbo,
e fatte tue diventon sì profonde,
che sprezzi e ripe e ponti, alto e superbo;
questa è mia preda, e queste trecce bionde,
qual' in man porto con dolore acerbo,
ne fan chiar segno; in te mie speme è sola:
soccorri presto, ché la ninfa vola! -

37

    Arno, vedendo Ombron, da pietà mosso,
perché el tempo non basta a far risposta,
ritenne l'acque, e già gonfiato e grosso
da lungi al corso della bella Ambra osta.
Fu da nuovo timor freddo e percosso
el vergin petto, quanto più s'accosta:
drieto Ombron sente, e inanzi vede un lago,
né sa che farsi, el cor gelato e vago.

38

    Come fiera cacciata e già difesa
da' can', fuggendo la bocca bramosa,
fuor del periglio già, la rete tesa
veggendo inanzi agli occhi, päurosa,
quasi già certa dovere esser presa,
né fugge inanzi o indrieto tornar osa,
teme e cani, alla rete non si fida,
non sa che farsi e spaventata grida;

39

    tal della bella ninfa era la sorte:
da ogni parte da päura oppressa,
non sa che far, se non disïar morte;
vede l'un fiume e l'altro che s'apressa,
e disperata allor gridava forte:
- O casta dea, a cui io fui concessa
dal caro padre e dalla madre antica,
unica, aiuta all'ultima fatica!

40

    Dïana bella, questo petto casto
non maculò giammai folle disio;
guardalo or tu, perché io, ninfa, non basto
a dua nimici: e l'uno e l'altro è dio!
Col desio del morir m'è sol rimasto
al core il casto amor di Lauro mio;
portate, venti, questa voce extrema
a Lauro mio, che la mia morte gema! -

41

    Né eron quasi della bocca fuore
queste parole, che i candidi piedi
furno occupati da novel rigore;
crescerli poi e farsi un sasso vedi,
mutar le membra e 'l bel corpo colore;
ma pur, che fussi gà donna ancor credi:
le membra mostra come suol figura
bozzata e non finita in pietra dura.

42

    Ombron pel corso faticato e lasso,
per la speranza della cara preda
prende nuovo vigore e strigne il passo,
e par che quasi in braccio aver la creda:
crescer veggendo inanzi agli occhi il sasso,
ignaro ancor, non sa donde proceda;
ma poi, veggendo vana ogni suo voglia,
si ferma pien di maraviglia e doglia.

43

    Come in un parco cerva o altra fera,
ch'è di materia o piccol muro chiuso,
soprafatta da' can' campar non spera
vicina al muro, e per timor là suso
salta e si lieva inanzi al can leggiera:
resta il can drento misero e deluso:
non potendo seguire ov'é salita,
fermasi, e guarda el loco onde è fuggita;

44

    così lo dio ferma la veloce orma,
guarda pietoso el bel sasso crescente,
el sasso, che ancor serba qualche forma
di bella donna, e qualche poco sente;
e come amore e la pietà lo informa,
di pianto bagna il sasso amaramente,
dicendo: - O Ambra mia, queste son l'acque,
ove bagnar già el bel corpo ti piacque!

45

    Io non arìa creduto in dolor tanto
che la propia piatà, vinta da quella
della mia ninfa, si fugissi alquanto:
per la maggior pietà d'Ambra mia bella,
questa, non già la mia, muove in me il pianto.
E pur la vita trista e meschinella,
ancor che eterna, quando meco penso,
è peggio in me, che in lei non aver senso,

46

    Lasso!, ne' monti miei paterni excelsi
son tante ninfe, e sicura è ciascuna;
tra mille belle la più bella scelsi,
non so come; et amando sol questa una,
primo segno d'amore e crini svelsi,
e caccia'la della acqua fresca e bruna;
tenera e nuda poi, fuggendo essangue,
tinse le spine e' sassi el sacro sangue.

47

    E finalmente in un sasso conversa,
per colpa sol del mio crudel disio,
non so, non sendo mia, come l'ho persa;
né posso perder questo viver rio:
(in questo è troppo la mia sorte aversa,
misero essendo, et immortale dio!)
ché s'io potessi pure almen morire,
potria el giusto inmortal dolor finire.

48

    Io ho imparato come si compiacci
a donna amata e 'l il suo amor guadagni:
che a quella che più ami più dispiacci!
O Borea algente, che gelato stagni,
l'acque correnti fa' s'induri e ghiacci,
che, petra fatto, la ninfa accompagni:
né 'l sol già mai con raggi chiari e gialli
risolva in acqua e rigidi cristalli. -


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Lorenzo De' Medici - Opere", a cura di Tiziano Zanato, NUOVA UNIVERSALE EINAUDI, Giulio Einaudi editore, Torino, 1992







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